venerdì 2 settembre 2011

Ci sono alcune donne delle quali si perde il ricordo

Ci sono alcune donne delle quali si perde il ricordo, i cui strascichi restano immobili e zitti come un sottofondo del pensiero, destinato a scomparire fino al momento in cui tutto il resto attorno si ferma, per qualche imperscrutabile motivo, e si finisce per venire assaliti dal ricordo improvviso di un evento rimosso. Io non sono tipo da vantarmi di essere stato con tante donne da non ricordarmele però devo ammettere che la Gru (la chiamavo così per le sottilissime gambe slanciate e il naso adunco che emergeva prominente dal sipario dei capelli lisci lunghi e neri) l'avevo dimenticata. Non solo avevo dimenticato di essere stato a letto con lei (ché è il minimo), ma addirittura di averla conosciuta tramite amici comuni ormai quattro anni fa, e di essere riuscito ad appartarmi con lei - per chiacchierare e parlare, mica per saltarle subito addosso - già il giorno del primo incontro. Oggi come oggi mi pare incredibile che nei mesi immediatamente successivi, che avevo trascorso all'estero, le avessi spedito dei tentativi di billet doux (sempre mitigati dall'ironia della timidezza che non crede fino in fondo all'interesse sentimentale), non una ma due volte, e che fossi giunto all'estremo di corteggiarla in pubblico, una volta rientrato a M***, in nome della mezz'oretta che avevamo trascorso da soli mesi addietro.

Lei non ci stava. Col tempo ho maturato un sempre crescente disgusto delle discussioni intersessuali (se una vuole frequentarmi va bene, se non vuole frequentarmi va bene lo stesso, l'importante è non perdersi in chiacchiere: mica stiamo facendo la finanziaria) ma allora evidentemente mi sentivo in vena di ingaggiare dibattiti dialettici interminabili, o forse ritenevo che ne valesse la pena per lei: proprio perché non mi piaceva in sé, non mi sarei mai fidanzato con lei, era giusto un capriccio che volevo togliermi - davanti ai nostri amici comuni - e la sua resistenza mi spronava a cercare nuove maniere di saltare o aggirare l'ostacolo che arbitrariamente mi poneva dinanzi. Finché non era arrivato il suo rifiuto definitivo, al quale era seguita una domenica pomeriggio, dopo giorni di mia assoluta inattività al riguardo, in cui era venuta da me chiedendo pretestuose informazioni informatiche (senza nemmeno portarsi dietro il suo computer), e nel momento in cui avevo provveduto a congedarla educatamente ma sbrigativamente le nostre labbra si erano toccate e le lingue si sono confuse.

Io sono un uomo tutto d'un pezzo e dopo questo bacio preliminare l'avevo comunque mandata via perché stavo facendo altro, e se io avevo dovuto adeguarmi ai suoi tempi lei doveva pure adeguarsi ai miei. La notte stessa però ero andato a visitarla. Appena entrato, era già inginocchiata sul pavimento a prendermelo in bocca. Poi, trascinandola a letto, le avevo scoperto il seno che si intuiva sotto le sue magliettine sempre troppo modeste mentre lei mi rivelava che da quando era ragazzina (ha proprio specificato "ragazzina" nel senso di "minorenne") le era sempre piaciuto farselo accarezzare reiteratamente, prima durante e dopo il rapporto, non necessariamente da ragazzini della sua stessa età. Mi aveva anche rimproverato perché, nella furia della penetrazione, avevo smesso di accarezzarla lì, dandomi del disattento; ma se è per questo mi aveva anche rimproverato perché, sentendola venire mentre mi era sopra, avevo irrigidito tutto il corpo nel tentativo (riuscito) di evitare di venire anch'io. Scopavamo senza preservativo come piace a me (sono cattolico), e lei mi aveva detto che non c'era bisogno di stare attento perché prendeva fior di anticoncezionali.

Come spesso mi accade dopo il suo orgasmo e l'attimo di riposo che mi aveva chiesto mi era rimasto duro e per di più era tutto lubrificato dai suoi succhi vaginali, quindi tempo un attimo e l'avevo già capovolta piantandola con la schiena sul materasso per penetrarla da sopra, da missionario, da legittimo marito. Un po' la maniera in cui si muoveva sotto di me, un po' la fatica pregressa, un po' l'incessante movimento delle mie mani sui suoi seni che mi piacevano oltremodo per il contrasto con l'ossuto resto, le ero venuto dentro senza ritegno. Lei, che da poco era uscita dal ciclo, non aveva cambiato espressione, si era divincolata dalla mia stretta e s'era rimessa addosso la sottanina rossa con la quale dormiva. Io me ne ero andato, come facevo sempre.

Nei giorni successivi ero tornato qualche altra volta da lei, incontrando una curiosa alternanza fra resistenza e cedimento senza cause scatenanti, ma poiché tutto ha una fine e dopo una settimana dovevo andarmene (ancora una volta) e lasciarla lì poco prima di partire ero andato da lei trovandola seduta alla sua scrivania, forse a impazzire ancora sul problema informatico che non avevamo voluto risolvere la domenica precedente quand'era venuta da me. Mi ero piazzato di fianco a lei, in piedi, lei si era girata verso di me e le avevo preso la testa dalla nuca con entrambe le mani spingendola - non verso l'inguine, non è che tutte le volte che sono in piedi davanti a una donna seduta deve partire il pompino obbligatorio - verso il mio ventre, restando in una posizione strana in cui lei era attuffata sul mio stomaco in un mezzo abbraccio e mezza carezza. Era inutile dirle alcunché, sapeva che me ne andavo e lei restava; e, con realismo wittgensteiniano aveva risposto in maniera folgorante al mio silenzio: "Noi non siamo niente". Da allora l'avevo rivista una sola altra volta, ma solo di passaggio e in pubblico.

Poi più niente e l'avevo del tutto rimossa (ho controllato, non ho nemmeno più il suo numero, se mai l'ho registrato sulla rubrica del cellulare) fino a stamattina quando, nel momento esatto in cui mi sono svegliato, m'è tornata in mente come se al risveglio avessi sorpreso uno spirito notturno che non aveva fatto in tempo a sparire nella sua segretezza persistente.

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