giovedì 16 dicembre 2010

In realtà speravo che

martedì, una mail

In realtà speravo che la settimana in Italia fosse più fruttuosa, ma un po' la neve un po' altri contrattempi mi hanno impedito di fare tutto quello che mi ero prefisso ovvero, tradotto, andare a letto con due amiche (una per volta) e baciarne almeno un altro paio. (Ultimamente sto riscoprendo il piacere del bacio, senza nient'altro aggiungere, come uno dei più raffinati in quanto lascia in sospeso cose che le donne non sono abituate a non aspettarsi da un porco come me). Però l'esperienza del cinema è valsa da sola tutta la trasferta. Per me non era una cosa nuova, ci avevo portato la mia Ex più volte (e peraltro in più cinema diversi, era diventata la nostra specialità); era una novità per la mia amica, che però da tempo avevo educato non solo a una certa apertura mentale, per non dire perversione, ma in particolare a immaginarsi guardata da sconosciuti mentre faceva cose che tutte preferiscono tenere segrete. Ci siamo visti venerdì pomeriggio, verso le quattro e mezza, quando lei era appena uscita dal lavoro e io avevo terminato i miei vari appuntamenti a M***. Ci siamo visti in un bar non troppo distante dal cinema che avevamo già individuato a priori e nel quale lei intendeva lasciarsi condurre con piena fiducia; talmente piena che non solo s'è presentata con un'accettabile scollatura (nonostante il freddo) e una gonna corta a sbuffi, ma mi ha anche rivelato che le calze a rete che aveva scelto di indossare si erano, nel corso di un precedente convegno amoroso, smagliate proprio nel punto in cui creavano un'apertura con accesso diretto alla fica. Per ribadire le sue intenzioni, mentre pagavo il conto del bar, mi ha sussurrato che andava in bagno a levarsi le mutandine, così da tenere l'apertura più disponibile, e poi ci siamo avviati nella nebbia. Per entrare in questo cinema bisogna anzitutto riconoscere davanti alla cassiera che sì, ce ne siamo accorti che è un cinema a luci rosse - penso che lo dica per prammatica ogni volta che entra una coppia, tanto che anche con la mia Ex aveva avuto la stessa uscita. Una volta confermato che ci eravamo accorti delle locandine con donne nude appese tutt'attorno, siamo scesi nell'interrato dov'è ospitata la sala. Ci tenevamo per mano. La prima cosa che si vede è un vestibolo nel quale c'è un televisore che trasmette un porno di qualità relativa; lo guarda qualche sparuto che s'è stancato di stare al buio o che approfitta delle macchinette per caffè che sono disponibili in loco. Un'altra saletta, nella quale trasmettono esclusivamente film con trans e nella quale i padri di famiglia vanno a succhiarsi l'un l'altro, è disponibile dietro la platea ma non c'interessa: noi miriamo, anzi io miro esclusivamente alla grande sala cinematografica, ed esattamente alla fila di sedie davanti alla quale si trova il corridoio. La scelta non è casuale ma dettata dall'esperienza: sendendosi lì si sta più comodi e ci si può muovere con più libertà; se qualcuno vuole guardarci più da vicino può piazzarsi nello spazio libero senza farci soffocare; inoltre sistemo la mia amica sulla poltrona d'angolo col corridoio centrale e io mi metto al suo fianco, così che non resti nessun posto libero per far sedere malintenzionati vicino a lei. Forse perché con la mia Ex ero andato sempre al weekend (quando aprono le gabbie e dunque la frequentazione è molto più intensa ma soprattutto meno selezionata), mi sorprende che i singoli siano relativamente pochi e soprattutto che si comportino quasi bene. Uno si siede dal mio lato, lasciando una sedia vuota in mezzo; un altro si piazza dietro di noi. Gli altri si limitano a passare e guardarci incuriositi, e quelli che sono seduti nelle file anteriori lasciano perdere del tutto il film e si girano a centottanta gradi verso di noi. Un travestito passa, ci vede, capisce che per lui non è giornata e sconsolato se ne va. Il film, che ormai io e la mia amica siamo gli unici a guardare, non è male. Un po' lento, non tutto sesso ma con un tentativo di trama, con attrici dai corpi verosimili e vestite e truccate come donne normali. Anche gli uomini non sono male, e la mia amica che pure non guarda porno abitualmente non può fare a meno di notare che uno degli attori ha proprio un bel cazzo, che sul grande schermo è apprezzabile in tutta la sua grandezza e dettagliata scultura delle vene. Intanto il tizio seduto dal mio lato se l'è tirato fuori e non mi sembra che ce l'abbia brutto nemmeno lui, visto che la mia amica - pur cercando di non farsene accorgere - di tanto in tanto lo sbircia con la coda dell'occhio. Ma ha deciso, a priori poiché è la sua prima volta, che non si farà tentare e non toccherà nessuno perché da nessuno vuol essere toccata. Ovviamente escluso me, che inizio a palparla lungo il seno e a un suo cenno acconsento a scoprirglielo del tutto, estraendolo dalla scollatura, così che lei si senta ancora più esposta in un posto così sordido, nel quale una brava ragazza non dovrebbe mai mettere piede, e così che ancora più singoli si soffermino a guardarci, che ancora più spettatori si voltino verso di noi, che il tizio dal mio lato se lo meni ancora più furiosamente (mentre non riesco a capire cosa stia facendo il tizio seduto esattamente dietro di noi, ma posso intuirlo). Quando mi tira giù la cerniera, è il segnale di inizio delle danze. Prima inizia ad accarezzarmelo senza nemmeno stringerlo, mentre continuiamo a guardare il film e a farci due risate di tanto in tanto spiando le reazioni (ma lei vuole sapere perché tutta quella gente vada in giro su e giù per il cinema; le spiego che si tratta di cercatori non tanto di coppie quanto di giovanotti e di marchettari, in posti del genere si abbassa repentinamente l'asticella dell'eterosessualità). Poi inizia la sega, e mi pare che tu sappia come se ne faccia una. Il tizio dal mio lato chiede se può sedersi al mio fianco (rispondo di no), qualche curioso smette di passare e si ferma a guardare, in piedi a un paio di braccia di distanza. L'attenzione è equamente ripartita sul suo seno e sul mio uccello. Quando me lo prende in bocca divento l'eroe della giornata sollevandole la gonna per far vedere agli astanti che ci sono le calze ma non ci sono le mutandine. Di fronte a cotanta visione, iniziano a menarselo anche quelli in piedi, e il tizio dietro si alza per sincerarsi da vicino. Mi chiede se può toccarla (specifico: chiede a me se può toccare lei, le gerarchie sono estremamente chiare, mi dà un enorme senso del potere la possibilità di rispondere di sì contrariamente alle intenzioni della mia amica); ma rispondo di no perché io stesso voglio che lei provi piacere dalla mera esibizione, tanto che non l'ho nemmeno masturbata ma mi sono limitato per mezz'ora buona a toccarla sui punti sensibili e in particolare sul capezzolo scoperto. Ogni tanto si riposa dal pompino e mentre si rialza a respirare non smette di segarmi; quando torna ad abbassarsi su di me le racconto per filo e per segno ciò che i singoli stanno facendo per lei e che lei non può vedere. Qualcuno, deluso dal non poter toccare, se ne va; altri si aggiungono perché capiscono che si fa molto interessante. Insomma, il pompino va avanti a oltranza e attorno a noi si crea un anfiteatro di guardoni, ai quali chiedo soltanto due cose: di non toccarla ma soprattutto di non chiudermi la visuale, ché già che sono in un cinema gradirei guardare il film. Quando il cazzo mi fa quasi male e non accenna a liberarsi decido di cambiare posizione per venire: non più lei reclinata su di me dalla poltrona di fianco ma lei seduta comodamente e io in piedi, di fianco a lei, a ficcarglielo in bocca senza nemmeno farle usare la mano per accompagnamento, ma solo andando avanti e indietro come se le stessi scopando le labbra, la testa, il cervello. Mi sento rassicurato abbastanza dal comportamento dei singoli da non avere remore a calarmi del tutto i pantaloni e gli slip, così da muovermi con più agio; lei se ne accorge e mugola senza ritegno finché non le sparo sul palato tutto lo sperma che avevo conservato per l'occasione. Con notevole presenza di spirito, mentre mi stacco da lei ma i singoli restano a guardarla, dice loro che per stavolta lo spettacolo è finito ma che forse farà di più la prossima volta. Li ringrazia, addirittura, e qualcuno ringrazia lei; sul pavimento attorno a noi notiamo qualche kleenex sporco, segno che forse saremo materiale da sega ancora per il resto della settimana. Dopo esserci risistemati, risaliamo le scale prendendoci di nuovo per mano e lei mi conferma che ho sempre un buon sapore.

mercoledì 20 ottobre 2010

Se la cosa può tranquillizzarti

Se la cosa può tranquillizzarti, ieri io e la Fidanzata abbiamo fatto l’amore normalmente, o meglio serenamente, o meglio ancora coniugalmente. Non sia mai che pensi che preferisco masturbarmi; quella dell’altro giorno è stata un’una tantum. Ieri sono tornato a casa da una cena di lavoro, l’ho trovata ad attendermi con una maglietta bianca sotto la quale si intuivano perfettamente lo scuro dei capezzoli; dopo qualche bacio mi sono liberato di giacca cravatta e pantaloni, le ho sfilato jeans e mutandine, l’ho rovesciata sul letto e le sono salito sopra – le sono entrato dentro – senza che ci togliessimo né la camicia (io) né la maglietta (lei). Era come se gli indumenti di sopra servissero a darci un’identità precisa nel gioco del maritino che torna a casa stanco morto e trova la mogliettina disponibile ad aprire le gambe per tirarlo su. Non abbiamo mai cambiato posizione. Le sono rimasto sopra la consueta ventina di minuti d’ordinanza, volevo che rappresentassimo plasticamente il rapporto sessuale base, un po’ sacro e un po’ animalesco. Ne sono uscito un attimo prima di venirle sullo stomaco con l’aiuto della sua mano (ma con l’altra, non so come abbia fatto, è riuscita a sollevare contemporaneamente la sua maglietta e la mia camicia perché non si sporcassero). Poi, sant’Iddio, meritate coccole.

L’idea dello spreco di sperma come sfregio privato alla Fidanzata, poi, a essere sincero non era manco mia. Me l’ha inconsapevolmente suggerita la mia Ex che qualche giorno fa mi ha confessato di avermi perdonato tutto tranne i tradimenti, anzi tranne un tradimento. Stiamo parlando dei tempi in cui vivevo ancora a P***. Di solito veniva a trovarmi lei perché era più comodo, godevamo di più libertà; ma una volta ci eravamo messi d’accordo che sarei andato io a T*** anche se lei viveva con i suoi. Per me era scomodissimo, dovevo cambiare tre treni e il viaggio durava quattro ore, però volevo accontentarla. Una volta lì, rassegnato a un weekend di castita, ho scoperto che invece lei aveva progettato un piano diabolico: mi aveva portato a passeggiare in un parco e lì, su una panchina, si era chinata a prendermelo in bocca. Io niente, restavo duro e non venivo. Quando la mascella ha iniziato a farle male mi ha chiesto di alzarmi e di calarmi i pantaloni per farmi venire masturbandomi. Io le ho detto che temevo che passasse qualcuno, ma lei ha spiegato di aver passato la settimana precedente a individuare il luogo meno frequentato. Io d’altronde avevo voglia di scaricarmi e non mi sono fatto pregare due volte. Giù i calzoni, giù le mutande, cazzo all’altezza dei suoi occhi mentre lei restava seduta; così è stato più comodo farle avvicinare la bocca (aperta, apertissima, spalancata) quando ho sentito arrivare la sborra. Lei ha ingoiato un attimo prima che alle nostre spalle comparisse un cinquantenne in tuta aderente che correva felpatissimo. Non lo avremmo mai sentito avvicinarsi, e per fortuna avevo appena finito di riabbottonarmi. Ci ha trovati così, io in piedi e lei seduta, ma non ci avrà fatto molto caso, forse.

Qualche mese dopo le ho raccontato che in realtà quel giorno ero già venuto, forse per quello avevo difficoltà a trovare altro sperma per lei. Lei sul momento non mi ha detto niente ma l’altro giorno se n’è uscita con l’idea dello spreco, che a suo dire l’aveva umiliata e le aveva sottratto godimento (oltre a farci rischiare più concretamente di essere scoperti dal felpato cinquantenne). Ma secondo me ciò che l’ha fatta rosicare è stata la maniera in cui ho sprecato sperma prima di vederla.

Dovevo cambiare tre treni e, arrivato all’ultimo, avevo potuto salirci parecchio tempo prima che partisse, visto che nasceva nella stazione del cambio. Avevo attraversato corridoi vuoti finché non avevo trovato uno scompartimento con una signora sola, sulla quarantina scarsa, vestita con un abito leggero in jeans e i piedi scalzi posati sul sedile di fronte. Ero entrato chiedendo permesso e lei aveva scostato i piedi di quel poco che bastava a farmi passare e arrivare all’angolo opposto a quello in cui era seduta lei. Tanto per attaccare discorso le avevo chiesto se sapeva se saremmo partiti in orario – domanda profondissima che mi ha consentito di sentire la sua voce, decrittare l’accento piuttosto forte e notare che aveva uno dei due incisivi spezzato a metà da un taglio diagonale; ma per il resto non era male, le gambe ben tornite, i capelli neri alle spalle, i lineamenti dolci e un po’ ingenui. Non ci eravamo detti molto altro. Lo scompartimento si era riempito all’improvviso e lei era stata costretta a spostare i piedi per liberare il sedile. Dopo la prima stazione aveva preso borsetta e valigia e si era incamminata nel corridoio.

Non c’era bisogno di essere il fratello furbo di Sherlock Holmes per capire che non doveva scendere. Dopo la seconda stazione avevo percorso i corridoi di tutte le carrozze finché non l’avevo intravista, dietro una tendina, impegnata in una telefonata piuttosto agitata in uno scompartimento vuoto. L’avevo lasciata lì senza farmi notare. Ero tornato indietro, avevo recuperato la mia valigia, avevo salutato gli altri viaggiatori e avevo finto di scendere alla terza stazione.

Per giustificare la mia presenza, le avevo detto che era arrivato qualcuno che aveva prenotato il mio posto. A lei non dispiaceva che entrassi e facessimo due chiacchiere. Non le dispiaceva scoprire che avevamo lo stesso nome declinato al maschile e al femminile. Non le dispiaceva nemmeno che le dicessi che aveva dei begli occhi, né che le prendessi la caviglia fra i piedi. Figurati se le dispiaceva venire a sedersi di fianco a me, farsi accarezzare le braccia e il seno, lasciarmi tirare le tendine, essere baciata con la lingua. Non le dispiaceva che me lo tirassi fuori, che lei potesse guardarlo, soppesarlo, accarezzarlo prima con un dito e poi stringerlo nella mano. Non sembrava dispiaciuta nemmeno quando lo sperma le è colato sulle dita. Ha solo detto tre parole, come a constatare il dato di fatto per sincerarsi che fosse realtà vera: “Sulla mia mano”. Le ha scandite come una formula religiosa. Poi mi ha sorriso, è andata in bagno e sono sceso alla stazione di T***.

lunedì 18 ottobre 2010

Ieri sera ho aspettato che la Fidanzata

Ieri sera ho aspettato che la Fidanzata uscisse con gli amici per masturbarmi approfittando di essere solo a casa. Pensavo di essere assalito da sensi di colpa legati al rifiuto implicito nei suoi confronti, pensavo che mi si schiudesse addosso un tifone di dubbi sulla stabilità del nostro rapporto e invece mi sono limitato ad assaporare sentimenti adolescenziali: la gioia dell'essere solo, la trepidazione della porta chiusa, il senso di onnipotenza limitata alle ore che sapevo avrebbe trascorso fuori. E soprattutto, soprattutto, la gioia perversa dello spreco - sapere che un'erezione, del sudore e dello sperma, funzionali al mio piacere, se ne sarebbero andati in un adulterio basico senza che lei lo sapesse mai.

Ho sistemato la poltrona di fronte al portatile. Ho preso un rettangolo di asciugatutto dalla cucina. Mi sono acquattato aprendo l'armadio per disseppellire la scatola dei giochi nella quale ho nascosto tutto il materiale porno, gli aiuti di vario genere e anche le tue mutandine. Ho letteralmente sorteggiato un dvd e, affidandomi alla sorte, anche se la copertina non mi diceva gran che ho predisposto la riproduzione. Ho selezionato la scena che mi attraeva di più nell'anteprima. Mi sono seduto a guardare.

Immagina due donne more, alte, entrambe coi capelli lunghi. Una ha un corpo da modella sfatta, l'altra è stata gonfiata a dovere particolarmente sul seno, che è rigonfio e culmina in due capezzoli di circa dieci centimetri di diametro, appena rosati e completamente uniformi. Delle due preferisco visibilmente quest'ultima, la più artificiale e pornografica; ricordo che si chiama Laura Lion e che al suo corpo fasullo e al suo sguardo vacuo avevo dedicato molti molti pensieri quando avevo iniziato a esplorare il web credendo di ricavarne un piacere infinito come le molteplici possibilità voyeuristiche che mi schiudeva. Tutte e due sono vestite con abiti da puttane, se si possono definire abiti pezzi di stoffa che lasciano completamente libere le zone erogene, se si possono definire abiti delle difese che cadono dopo pochissimi secondi di proiezione quando l'altra si accovaccia a mettersi in posa sorridente di fianco alla fica di Laura, dritta e composta, un righino di pelo nero curato con attenzione millesimale.

Non fa a tempo Laura a chinarsi lei per ricambiare e leccare, che vengono raggiunte da un uomo già pronto - nudo, statuario, in erezione. Lo mette subito in bocca a Laura che era giù, mentre bacia l'altra rimasta in piedi; poi se le scopa una via l'altra. Nella fica da sopra. Nella fica da sotto. Nella fica da dietro. Nella fica dell'una. Nella fica dell'altra. In una delle due fiche mentre la restante si accomoda a cosce larghe su un divanetto e lui la aiuta a masturbarsi ficcandole dentro tre dita forsennate che la scavano come se fossero il secondo cazzo che lui ha sempre desiderato. Nella fica di Laura si vede che gli piace di più: la fa sedere su di sé mentre è sdraiato sul pavimento e se la scopa di schiena guidandola coi palmi delle mani sul culo mentre l'altra, l'anonima, la sparring partner dal volto anonimo si industria a leccarle le tette ma non ci riesce, sono troppo grandi e ballonzolanti ed è costretta a smettere di inseguirle a bocca aperta per posarci sopra le due mani, per posare entrambe le mani su una tetta sola, enorme e perfetta. Dopo questa cavalcata lui non ne può più. Sborra in bocca a Laura - sborra poco, sborra meno di quanto io sborri in quello stesso istante (se guardo un porno riesco a venire a comando, di solito, sincronizzandomi all'eiaculazione sullo schermo, ma non ti prometto niente) nell'asciugatutto che ho accartocciato attorno alla sommità del cazzo per evitare di macchiare la moquette, altrimenti chi la sente poi la Fidanzata?

L'attore nudo dall'inizio alla fine se lo stringe in mano quasi con sofferenza, quasi gli dispiacesse separarsi dal proprio seme, o quasi temesse che tanto il godimento il cazzo gli decollasse come un missile. A malapena si distinguono le gocce che spara nella bocca aperta di Laura ma lei, che le rimesta con la saliva, si volta e lascia cadere due, tre lenti fiotti bianchi nella bocca spalancata che l'altra, la povera attrice di cui mi spiace non sapere il nome, le offre sistemandosi sotto di lei, in traiettoria. E poi vado a lavarmelo.

martedì 7 settembre 2010

Mi sono reso conto di averti lasciata in sospeso

Mi sono reso conto di averti lasciata in sospeso, la sera in cui scambiavamo messaggini mentre attendevo la coppia, rassicurandoti sul fatto che sarebbe venuta (ero rassicurato soprattutto io, in realtà) ma non raccontandoti cos’è successo poi.

La cosa curiosa è che li ho incontrati per caso due ore prima dell’appuntamento stabilito. Ero stanco di stare da solo in casa, annoiato dal primo giorno di weekend, nervoso per motivi che non credo avessero a che fare col sesso. Allora mi sono deciso a fare due passi, ciondolando su e giù per il centro di O***, e girato un angolo ho praticamente sbattuto contro di lei. Lui era lì di fianco, stavano andando a cena. Ci siamo salutati con mezza sorpresa e mezza cordialità; è stato utile a ristabilire un rapporto umano e a non incontrarci direttamente per fottere.

Alla fine non sono rientrato in casa prima dell’appuntamento. Sono rimasto in giro a non far niente sperando che il tempo passasse in fretta. Ti risparmio l’invidia dettagliata per tutte le persone normali che vedevo per strada, e la concupiscenza verso ogni donna desiderabile di cui incontrassi lo sguardo. Siamo arrivati all’appuntamento in anticipo, io e loro, nello stesso momento. Te li descrivo come farebbe il marchese de Sade, già nudi anche se sono arrivati vestiti. Lui è calvo, non troppo alto, occhi azzurri, braccia muscolose, parecchi peli sul petto, cazzo lungo in maniera sproporzionata rispetto all’altezza. Sembra una sua versione longilinea in miniatura, con quella testa pelata che si dilata e si tende e arrossisce con l’eccitazione. Lei hai capelli castani alle spalle, un piccolo neo sulla curva del naso, lineamenti duri, sguardo da zozza, corpo minuto e ben proporzionato, pelle liscissima che adoro accarezzarle centimetro dopo centimetro e un piercing sulla fica oltremodo aggressivo.

Li ho portati da me. Lungo la strada non hanno fatto altro che dire di essersi appena rivisti dopo una lunga lite e di non sapere davvero cosa sarebbe successo. Fatto sta che, il tempo di andare a lasciare il portafoglio in camera mia, erano già avvinghiati a baciarsi sul divano del soggiorno. Mi sono seduto sull’altro divano, quello che è sistemato ad angolo retto rispetto al precedente. Li guardavo un po’ distante. Lei ha aperto le gambe svelando, com’era prevedibile, di non avere mutandine sotto la gonna (curiosamente l’ultima volta che ci eravamo visti me le aveva lasciate, sfilandosele già al pub e poi facendosi portare in taxi a casa per scopare; le ho ancora, nascoste in camera mia, nere e filate di umori rinsecchiti). Mi sono sbottonato i calzoni solo quando lei si è chinata a fargli un pompino, mentre lui le sollevava i capelli dal mio lato per consentirmi di vedere bene. Dopo un po’ mi ha raggiunto carponando e ha iniziato a succhiarmi tenendosi aggrappata con la mano sinistra al cazzo del suo legittimo.

Ecco, per me l’apice dell’eccitazione si raggiunge lì, sul sottile crinale in cui la coppia diventa trio (o quartetto) passando dall’urbanità sociale all’esposizione delle pudenda e al rimescolamento degli organi sessuali. Il resto lo faccio per onore di firma, mi eccita molto meno. Per questo, e anche perché non ho tempo di descrivere nel dettaglio, taglio: abbiamo cambiato posizioni, divani, ordini, dimensioni, rapporti. Lui ha tentato di incularla mentre lei si faceva scopare a cavalcioni su di me ma non c’è riuscito. Io le sono venuto in bocca mentre lui le è venuto nella fica, confermando i nostri ruoli contemporanei di fidanzato e amante. Molto bello vedere lo sperma di lui colarle fra le cosce mentre si alzava per andare a pulirsi il muso dal mio, di sperma. Alla fine, però, m’è rimasta una vaga sensazione di déjà vu, una noiosa ottusità dei sensi, un piacere non appagante.

sabato 28 agosto 2010

Oggi è iniziata malissimo

Oggi è iniziata malissimo: a casa non ho ancora internet e sono andato in biblioteca per sfruttare la connessione e lavorare un po, ma una volta arrivato ho scoperto che era chiusa per oggi e per i prossimi tre giorni. Ho trascinato la borsa con portatile pesantissimo nel bar di fronte e mi sono seduto a lavorare a mano, con libro e quaderno. Di tre quarti a me s’è seduta una trentenne alta, dal volto spigoloso sotto una cascata di ricci castani e un corpo snello, facile da intuire sotto la maglietta leggera e scollata (ha piovuto per giorni ma oggi il tempo è migliorato). Ci siamo guardati un paio di volte, le ho quasi sorriso, ho anche pensato di lasciar scivolare un biglietto con su scritto “you’re gorgeous” e il mio numero di telefono nella tasca del soprabito che aveva appoggiato alla spalliera della sedia più vicina a me. Poi ho pensato di scriverle invece “vous êtes étonnante”, quando sentendola parlare al telefono avevo capito che era francese; tanto il mio numero sarebbe rimasto lo stesso. Alla fine, quando ero voltato a leggere quasi totalmente verso di lei dando le spalle alla mia borsa col portatile dentro, è arrivato un suo amico alto quanto lei e l’ha baciata non ho nemmeno voluto vedere come.

La triste verità che quest’episodio ribadisce, più che rivelarla, è che a O*** la mia solitudine è dannosa. Lo accetto con rassegnazione ma è difficile parlarne con serenità. Sono convinto che la mia solitudine non sia sempre sfavorevole. Quest’estate ero al mare a R*** e mi piaceva passare le giornate da solo, passeggiare lungo la riva da solo, andare al bar da solo. Mi piaceva soprattutto ritirarmi nella mia camera singola dopo pranzo, mettermi in mutande a guardare la tv e mandare messaggini dolci alla Cattolica. La quale è una cara ragazza, sempre innamorata e sempre vergine, che un mese fa stava con uno e ora sta con un altro, e in entrambi i casi li riteneva o ritiene l’amore della sua vita. È insicura e, siccome mi sta simpatica, mi faceva piacere scriverle che la trovavo bella e dolce e che volevo baciarla così e così. Lei rispondeva e dalla dolcezza si arrivava al momento in cui la mano esplorava le mutande e lei diceva che, fatta salva la distanza, me l’avrebbe accarezzato lei o addirittura succhiato come suppongo non abbia mai veramente fatto a nessuno (tutt’altra cosa è il millantato credito). Finiva che le mutande scivolavano via, le mie come forse le sue, e quando sentivo lo sperma colarmi sullo stomaco la chiamavo per nome perché le piaceva.

Ora altri amici si sono aggiunti alla francese e al suo uomo, e io ho finito di fare tutto ciò che potevo senza connessione. (Mi viene in mente solo ora che per definizione una persona sola è, ironia della sorte, una persona senza connessioni). Forse nel pomeriggio o in serata vedrò la coppia con cui l’anno scorso (credevo fosse passato meno tempo) avevo giocato in quattro con la mia Ex. (Fra parentesi, davvero ieri sei rimasta imperturbabile quando messaggio dopo messaggio siamo finiti a parlare di Eyes Wide Shut e ti ho rivelato che davvero l’avevo fatto in tre e in quattro e non una volta sola?). Si tratta di persone decenti, contrariamente a quanto generalmente accade nel losco mondo dello scambismo, e anch’io dovevo essere loro simpatico perché si sono tenuti in contatto durante tutti questi mesi. Una volta lui era impegnato fuori O*** per lavoro e mi aveva mandato la sua lei perché me la scopassi e le togliessi la voglia. Hanno avuto problemi, hanno litigato, e chi c’è andato di mezzo sono stato io, che non ho più potuto fare il terzo. Ma d’altronde, non avevo anch’io avuto problemi e litigato con la mia Ex, che pareva fatta apposta per questi scambi multipli? C’è qualcosa che dura su questa terra? Fatto sta che alla lei pare sia tornata la voglia e, oltre a rappacificarsi con lui, due sere fa ha preso a scrivermi quanto le sarebbe piaciuto sentirsi due cazzi dentro, i quali nelle sue intenzioni sarebbero i nostri. Oggi siamo liberi tutti e tre e dovrebbero darmi conferma più tardi – è solo mezzogiorno. Ma permango scettico e temo che non si faranno più vivi, o perché litigheranno di nuovo in giornata o perché preferiranno divertirsi fra loro senza spartizioni. Io resto qui a escogitare un modo di finire il primo di questi tre giorni che passerò senza parlare con nessuno, meno ancora del solito.

mercoledì 7 luglio 2010

Quando non ho tempo

Quando non ho tempo prendo un panino al volo e vado a mangiarmelo in una stradina seminascosta, non troppo lontana dal mio ufficio, dove posso stare un po' solo con i miei pensieri, che almeno sono in italiano e non mi stancano troppo.

Oggi stavo mangiando un panino al pollo e curry (questo passa il convento) e mi sono apparse davanti due ragazzine; avranno avuto sedici o diciassette anni. Ti spiego la mia posizione: mi siedo sempre su un muretto poggiando la schiena al tronco di un albero e osservando la strada come un piccolo palcoscenico. Oggi il mio teatro sono state loro due.

Erano bionde entrambe, dai capelli lisci. A una arrivavano a mezza schiena; era più alta e indossava una felpa blu notte con cappuccio. L'altra, più bassa ma di poco, aveva i capelli che le arrivavano alle spalle planando su una maglietta a righe orizzontali grigie e azzurre, con colletto bianco e uno stemma sul davanti che non ho capito.

Ora devo tradurre per forza anche se le parole precise in inglese facevano più effetto. "Eccola che arriva!", fa la più bassa. Arrivava, nella fattispecie, una bionda più bassa di lei e coi capelli un po' più disordinati. "Guarda come sono grosse!", rincara mentre quella più alta se la ride. "Sono così grosse che il laccio del reggiseno sta per saltare!", strilla.

La terza bionda infatti indossa un top rosso che sul retro descrive un arco ampio abbastanza da mostrare il gancio del reggiseno e la striscia che sulla schiena tiene insieme il tutto. Il top è aderente e mostra, sul davanti, gli esatti ricami delle coppe sottostanti. Il seno è grosso, molto grosso. E' uno di quei seni che restano in piedi solo quando si hanno sedici o diciassette anni, e tremola proporzionalmente a ogni passo che la sua proprietaria compie avvicinandosi alle altre due.

Tutte e tre sono consapevoli della mia presenza; mi vedono appoggiato all'albero come io vedo loro sul marciapiede opposto. La bionda tettona oltrepassa le altre due che la seguono verso l'altro sbocco della stradina. Loro continuano a ridere; lei si volta e mi sorride. Sa a cosa penserò quando, appena finito l'orario d'ufficio, correrò a casa per sfogarmi.

martedì 6 luglio 2010

Quando mi capita di andare

Quando mi capita di andare per convegni cerco istintivamente fra gli altri delegati una collega sconosciuta e più carina delle altre da corteggiare per due o tre giorni. Il sesso non è l'obiettivo, o quanto meno non è mai capitato perché notoriamente le intellettuali sono frustrate e inibite, ma almeno l'attività di sguardi e sorrisi e piccoli favori che metto in motomi consente di dare una patina sessuale ai due o tre giorni di noia e disinteresse in cui abitualmente consiste un convegno.

L'uhltima volta miravo a una paffuta e rubiconda bionda irlandese ma prima che potessi fare la prima mossa ero stato scelto da una milanese che, sentendomi parlare nellalingua natia con un compatriota che anche lui lavora all'estero, si era avvicinata chiedendo se eravamo il gruppetto italiano. Io non tollero gli italiani che all'estero puntano solo a fare gruppetto fra loro; però questa delegatamilanese - non troppo alta, capelli biondocastani alla schiena e ben curati, volto un po' ottuso ma seno più che decente, tacchi neri a stiletto - aveva subito ignoratol'altroitaliano e non potevo non sentirmi chiamatoin causa come maschio. Avevo lasciato perdere l'irlandese.

A farla breve, in serata siamo andati a bere qualcosa, io e lei. Io conoscevo già questa piccola città, lei no, e per prima cosa mi aveva chiesto di mostrarle i monumenti fondamentali (tre). Poi, al bancone del locale trendy che avevo sceltoripescando dai più remoti anfratti della mia memoria, le avevo impedito di pagare ma non avevo potuto fare a meno di notare che aveva estratto un portafoglio orrendo, a pezze azzurre e fucsia.

Era emerso che si trattava del regalo fattole dal suo fidanzato dopo quattro anni insieme, quando lei si aspettava un anello. Per buoni dieci minuti si era lamentata del suo uomo, ma per fortuna ormai le mie orecchie in circostanze simili sono abituate a chiudersi automaticamente, sapendo quanto noiose e irragionevoli siano le milanesi di famiglia abbastanza buona da ritenere di avere il mondo in mano - quando al massimo si tratta del loro piccolo mondo privato, farlocco e puzzolente.

Poi aveva accavallato le gambe e mi aveva chiesto della mia vita privata, costringendomi a dirle della Fidanzatga e a scandagliare il mio stato civile nel dettagli che già conosci.

Forse ero rimasto deluso perché non mi aspettavo tanta morbosità sulla stabilità sacra della coppia (ma da una milanese inurbata cosa ci si può aspettare se non pensieri ordinari e presuntuosi?), quindi la mia attenzione nei suoi confronti era repertinamnete calata per questo motivo. Di sicuro era calata perché con l'ipocrisia del discorso dei fidanzati avevo percepito il distacco dai miei veri pensieri.

Se fosse stata una donna sincera, con la quale poter parlare liberamente, avrei potuto dirle invece: "Senti, siamo in terra straniera, gli altri delegati dormono e nessuno ci conosce. Io voglio scoparti almeno quanto lo vuoi tu; ed è chiaro che vogliamo scoparci con indifferenza e disprezzo, nella consapevolezza che siamo il meno peggio che ci è capitato in mezzo a delegati cadenti e intristiti. Ora vorrei che smettessi di lamentarti perché il tuo fidanzato ogni mattina punta la sveglia troppo presto impedendoti di dormire fino alle ottoe vorrei che sbattessi il tuo tacco destro sulla superficie metallica del tavolino allargando le gambe, così seduta come sei, e consentendomi di accovacciarmi fra le tue cosce per scostarti le mutandine e leccarti la fica mentre bevi gli ultimi sorsi del patetico cocktail analcolico che ti ho pagato solo perché speravo di salvare questi giorni conoscendo il tuo corpo. Poi ti riaccompagnerò in camera mentre goccioli sui marciapiedi lamentandoti di ciò che davvero ti preme, ossia che il tuo fidanzato ce l'ha piccolo, o fetente, o che non sa usarlo a dovere. Prima che tu possa finire di elencare i suoi difetti ti mostrerò il mio, di cazzo, e ti tapperò la bocca da cui finora ho sentito uscire solo parole inutili e che finalmente servirà a qualcosa. Poi ti chiederò se hai una versione stampata dell'insulso temino che oggi pomeriggio hai compitato ad alta voce spacciandolo per intervento al convegno, col peggior accento inglese che mi sia mai capitato di sentire; appallottolerò i fogli e te li sistemerò fra le mascelle trasformandoti in un'anatra all'arancia; ti getterò per terra a calci finché non assumerai la corretta posizione a quattro zampe; ti inculerò senza partecipazione né gentilezza spiegandoti che stocercando una donna da presentare alla Fidanzata per coinvolgerla nei nostri giochi ancora immaginari, ma che non sei abbastanza troia da meritare tanto onore; ti verrò dentro appena inizi a piangere, me ne andrò lasciandoti riversa su questo pavimento che ti era sconosciuto fino a stamattina e domani, quando ti rivedrò al convegno, ti ignorerò del tutto".

Invece le buone maniere avevano avuto il sopravvento, le chiacchiere sui fidanzati avevano vinto, c'eravamo lasciati davanti alla mia porta con un bacetto sulla guancia e al mattino dopo, ricominciato il convegno, mi aveva ignorato lei - lasciandomi nel dubbio che volesse scoparmi davvero ma non fosse intelligente abbastanza da farmelo capire.

lunedì 5 luglio 2010

Da ieri sera sono a C***

Da ieri sera sono a C***, città in cui ho trascorso sei mesi in altri e più felici tempi, che ho amato e ricordato in ogni dettaglio, e dalla quale mancavo da sette anni. Sono qui per lavoro ma, appena posso, riescoa sgattaiolarmene e tornare a vedere i luoghi che mi sono rimasti, più di altri, attaccati al cuore. Trovo molto facile orientarmi, camminare senza mappa, ritrovare le impronte che le mie scarpe avevano lasciato e che credevo perdute per sempre prima che il caso mi riportasse qui. Ieri notte, prima di coricarmi, non ho resistito a una passeggiata nel centro deserto. Tutto era lì dove lo avevolasciato, così come l'avevolasciato; ne ho trattola piacevole impressione che gli edifici avessero trascorso gli ultimi sette anni ad aspettarmi.

In una strada laterale ho ritrovato anche un grande e luminoso caffè di cui conservavo un ricordo vago e delocalizzato. Era qui, dunque, che venivo a leggere con la Migliore Amica nei pomeriggi in cui volevamo nasconderci dal noswtro gruppo o dagli altri turisti. E' qui che oggi sono tornato appena ho potuto, con in tasca il libro che sto leggendo, ed è da qui che ti scrivo stavolta. Non per fare il sentimentale, ma sarebbe gradevole che una delle due poltrone vuote attorno a me fosse occupata da te.

Invece sono vuote. S'è appena svuotata anche la poltrona di fronte al mio sguardo, sulla quale era rimasta per due ore a scrivere fittamente in un quaderno rosso a quadretti una signorina dal fascino inquietante. Aveva un'orrenda borsa piumata e i capelli rasati quasi a zero, un viso forse troppo rotondo ma dai lineamenti sereni e regolari che contrastavano con la profondità inquieta degli occhi azzurri.

Io l'ho guardata a lungo, fra una pagina e l'altra, e studiandone i movimenti ho notato che anche lei di tanto in tanto mi lasciava cadere addossoun'occhiata che immediatamente, scoprendosi osservata, dirigeva altrove. Ha mostrato interesse esplicito versodi me soloquando ho posato il mio libro sul tavolino per andare a versarmi un po' d'acqua. Allora ha acuminato lo sguardo per cercare di capire cosa stessi leggendo, sforzandosi di decrittare il titolo sul dorso del libro: La... La vie... La vie sexuelle de Catherine M.

Catherine Millet non è come me l'ero immaginata, non è una Melissa P invecchiata e patetica; sembra, almeno fino al punto in cui sono arrivato, una donna brillante che nutre verso il sesso una curiosità estesa e profonda al contempo. Fa la critica d'arte ed è passata attraverso orge a oltranza, in cui essere in tre era compagnia ed essere in centocinquanta divertimento.

Tutto ciò viene raccontato nel libro, risparmiando dettagli solo quando sono noiosi. Nell'introduzione si spinge a immaginare un mondo dalla sessualità rilassata abbastanza da consentire, dice, lo scambio di riviste di porno fra sconosciuti in treno. Sulla copertina del suo libro, che già ha un titolo piuttosto esplicito, c'è un bianco e nero di nudo femminile che non lascia dubbi sul contenuto erotico. Quando lo leggo in pubblicomi accorgo degli sguardi ora curiosi ora imbarazzati di chi mi circonda; non m'interessa, tanto più che a C*** non mi conosce più nessuno, ma mi sarebbe interessato che la sconosciuta calva mi avesse dedicato uno sguardo differente, che la sua reazione alla scoperta del titolo fosse stata più confacente al mondo descritto nel libro.

Mi piacerebbe un mondo in cui fosse possibile lo scambiarsi non necessariamente riviste porno in treno ma almeno libri erotici al bar; mi sarebbe piaciuto assecondare la curiosità della sconosciuta calva porgendole il libroacciocché leggesse un passaggio a caso e me ne esponesse un giudizio. Mi sarebbe piaciuto dirle di come ho scoperto la letteratura erotica a quattordici anni - un capitolo de Le Undicimila Verghe di Apollinaire inserito in un'antologia estiva allegata a Panorama e letto furtivamente in bagno dopo averla sottratta col fiato corto alla libreria di mio zio, pregando che non se ne accorgesse, non allora, non prima che avessi finito di toccarmi su quelle parole proibite che improvvisamente prendevano forma in carne e inchiostro davanti ai miei occhi increduli di poter leggere "tette", "pompino", "cazzo", "sborra"... Mi sarebbe piaciuto poter continuare a discorrere amabilmente di letteratura libertina dopo essermi abbassato la zip e averlo tirato fuori per mostrarle che il suo sguardo curioso aveva infiammato la mia erezione preparata dall'infinita teoria di orge di Catherine Millet che sorride innocende ed enigmatica, il capo reclinato verso sinistra, in quarta di copertina.

Prima di iniziare a scriverti mi sono coscienziosamente masturbato nel segreto del bagno di questo caffè, pensando a te, alla sconosciuta calva, a Catherine Millet e alla Migliore Amica tutte in attesa del primo schizzo.

martedì 29 giugno 2010

Durante la scorsa settimana

Durante la scorsa settimana aver lavorato troppo perché venerdì sera, mentre mi trovavo a Londra e avevo appena finito, rendendomi conto di avere un'ultima oretta libera prima del treno sono andato dritto a Soho per scaricarmi.

Non sono di quelli che vanno a puttane per compensazione. Se non faccio l'amore per un certo periodo tendo a non pensarci troppo, quasi me ne dimenticassi; e quando il desiderio diventa bisogno lo zittisco con una rapida sega. Io tendo a voler fare l'amore sempre di più quando già lo sto facendo; divento bulimico e quando ho una donna la desidero tutta, quando vengo una volta voglio venire sempre. Mi autoalimento.

A Soho ci sono porticine sempre aperte ncon l'incerta scritta stampatella "model" su un pezzo di cartone; e sotto la scritta una freccia che indica la via sulle scale fatiscenti. Le ho salite sapendo che la sera prima la Fidanzata mi aveva fatto godere tanto (un'altra volta ti spiegherò come) e che l'avrei rivista la sera tardi e tutto il weekend a seguire. Ma in quell'istante il desiderio principale era di sopperire alla sua assenza ed esercitare il dominio del maschio che paga anche quando potrebbe non permetterselo.

C'è anche la componente del mistero. Si compra a scatola chiusa: si viene introdotti in una camera da letto da una vecchia che attende guardando la tv in uno stanzino e le si lasciano due sterline prima che chiuda la porta. Quasi mai, per fortuna, la puttana e la vecchia coincidono, ma il fattore che fa balzare il cuore è non sapere mai che corpo seguirà la mano che aprirà la porta. Il breve dialogo sui soldi - le tariffe sono appese chiare dietro la porta - serve più che altro a scrutare la donna che è apparsa in guepiere.

Mi era capitata una spagnola, catalana anzi, un po' troppo larga ma dal viso dolce, occhioni vaccini; e vaccino era anche il seno che premeva contro il reggipetto come se volesse uscirne non esplodendo ma tracimando: un seno morbido, pastoso, di zucchero e miele. Il treno imponeva un orario rigido, quindi senza frapporre indugio avevo comandato un pompino consegnandole venti sterline; ripostele, s'è seduta sul bordo del letto e ha iniziato a succhiarmi dopo avermi calato i calzoni e ficcato il preservativo alla bell'e meglio.

Questi scabri pompini fra estranei mossi solo dalla fretta e dal denaro, dal senso di dominio sul corpo e sul portafoglio altrui, possiedono una sessualità intrinseca se si riesce a non considerarli un atto sessuale come gli altri ma una parte recitata sull'agone del potere. Con questa catalana m'intendevo, pare; era chiaro che entrambi avremmo preferito essere altrove ma, giacché c'eravamo, ritenevamo meglio giocare fra noi che con qualcun altro.

Ci accontentavamo a cuore sereno, insomma, lei delle mie venti sterline e io delle sue labbra. Per questo, dopo averle liberato i seni e cercato di stringerne ciascuno in una mano, le avevo tolto il cazzo di bocca ed ero saltellato fino al comò per aggiungere altre dieci sterline. Tariffa successiva: si scopa.

Doveva aspettarselo perché si era levata in un sol botto la guepiere e si era sdraiata nuda a gambe larghe. Io invece avevo conservato camicia sbottonata e calzoni alle caviglie e le ero entrato dentro forsennato, mentre lei si lasciava andare a gemiti ricchi d'inventiva. Mi sono fermato e restando sopra di lei le ho detto che non mi piace la puttana che finge; preferisco quella che aspetta più o meno rassegnata che io abbia concluso. S'è calmata e ha iniziato ad assecondare i miei movimenti coi suoi mentre mi inarcavo per prenderle un seno in bocca, succhiarglielo, mordere questo capezzolo prominente e ricurvo come un polpastrello mentre le accarezzavo i capelli lunghi e neri. Quando mi ha baciato a labbra chiuse un punto indefinito della spalla sono venuto - dentro di lei, dentro al preservativo - perché non mi aspettavo tanto affetto.

Il treno potevo ormai prenderlo al volo, nel caso più ottimista (a Londra la metropolitana non sempre funziona bene). Mi sono sfilato da lei e ho iniziato a levarmi il profilattico; ma mi ha fermato con una mano e l'ha srotolato dolcemente, pulendomi il cazzo con un fazzoletto profumato e sorridendo mentre mi diceva: "Lo faccio io, è il mio mestiere".

lunedì 21 giugno 2010

Ma, come ti ho già detto

Ma, come ti ho già detto, la mia intenzione per la giornata appena aperta era di fare tutt'altro. Nel primo pomeriggio, quando l'aria si era ormai riscaldata del tutto e il sole sempre più insistente scopriva le ragazze che brulicavano lungo la Senna, sono andato all'imbocco di Boulevard Saint Michel per prendere un café noisette. Costa tantissimo, sedersi ai tavolini esterni ammirando da un lato la fontana monumentale con l'Arcangelo e il demonio e dall'altro le torri squadrate di Notre Dame; ma ne vale la pena perché si riesce sempre a imbattersi in qualche donna sola.

Mi ero sistemato poco dietro una giovane bionda, di tre quarti rispetto a lei, in maniera tale da non perderla mai d'occhio mentre fingevo di scrutare il brulicame e godermi il venticello tiepido. I capelli lisci e fini le scendevano fino a mezza schiena ed erano di un chiarore scandinavo che, acceso dal sole, tendeva quasi al bianco. La vita minuta era fasciata da un abitino leopardato che sui suoi movimenti aggraziatinon sembrava volgare, tanto più che il disegno era a macchie piccole e discrete; dall'apertura inferiore sbucavano gambe calzate da collant scuri, con un lieve ma costante arabesco nero che correva lungo tutta laa loro lunga superficie. Probabilmente delle autoreggenti, ma la giovane bionda era cautissima a non mostrare la giarrettiera nemmeno quando le allungava sotto il tavolino; nemmeno quando, facendomi balzare il cuore in gola, si era data all'inseguimento di un menù fatto volare via dal vento levandosi in piedi e mostrandomi tutt'a un tratto un corpo perfetto.

Come molte persone sole leggeva. Aveva comprato da una bancarella dell'usato il Britannico di Racine, che visto lo stato in cui era ridotto non doveva esserle costato più di una cinquantina di centesimi; sicuramente non era francese e mi faceva tenerezza la maniera in cui si affannava su ogni verso e misurava gli endecasillabi sulla punta delle dita, compitandoli a labbra mute.

Leggevo anch'io, con l'occhio che non la guardava, le prime pagine dell'Histoire d'O che avevo comprato in un precedente viaggio a Parigi e non avevo mai avuto tempo di iniziare. Cercavo di nascondere, tenendolo posato sul tavolino, il titolo del libro; ma al contempo desideravo che lei si voltasse per un attimo e scorgesse in copertina questo corpo di donna, esposto dal collo al ginocchio, coperto da un abitino di seta davanti al quale si giungevano le mani costrette da due manette ai polsi. Leggevo il celebre doppio incipit della storia di O condotta al castello di Roissy, dove intuisce che incontrerà i suoi padroni ma senza capirlo appieno, seduta di fianco al proprio innamorato che l'ha spinta a togliersi le mutandine e a posare sul cuoio del sedile posteriore di un taxi il culo e le cosce nude. Vedevo il vestitino leopardato della giovane bionda - ancora lì intenta a sorbire un'orangina e a controllare gli endecasillabi di Corneille - sollevarsi mentre entrava in un'auto e rivelarne la fica che di lì a poco si sarebbe sciolta sul sedile al pensiero della propria forzata remissività; e riga dopo riga, pagina dopo pagina, O aveva sempre più i suoi capelli biondi e il suo musetto volpino.

Al passaggio del cameriere gli faccio un segno e, Monsieur, gli dico, pago il mio café noisette e (indicandola) l'orangina di mademoiselle. Il cameriere arriccia il nasoe mi chiede se elle il sait; non lo sa, gli spiego, ma ciò nondimeno vorrei pagarla io. Lui allora fa ciò che mai un cameriere dovrebbe fare: va dalla giovane bionda a controllare lo scontrino, infilato sotto un posacenere per impedire che voli via, e le fa segno della mia profferta. La giovane bionda si volta verso di me e finalmente posso guardarla con attenzione, interpretarne la bellezza. Ha il mento aguzzo e lineamenti da carboncino, un taglio di occhi severissimo. Mi passa da parte a parte con il suo sugardo azzurro e protesta, Mais non, lei non si farà pagare. Le gambe si accavallano nervosamente, una preclara visione dell'arabesco nero sulle sue cosce mi balena sotto il naso. Cerco di insistere spiegandole che non ho secondi fini, che vorrebbe essere un omaggio alla sua bellezza altera e agli endecasillabi di Corneille sparsi sui suoi polpastrelli; ma lei non vuole sentir ragione e il mio francese non è così convincente.

Estrae il portafoglio e paga l'orangina di tasca sua, mentre sulle pagine del mio libro O perde poco a poco le sue fattezze volpine per riacquistare quelle che il narratore le aveva conferito; gli endecasillabi di Corneille tornano a scorrere sulle dita della giovane bionda, che avevo creduto schiava e invece era padrona, mentre penso che la vittoria in guerra passa anche da tante battaglie perdute con classe.

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Ho controllato meglio, il Britannico è di Racine.

domenica 20 giugno 2010

Avresti dovuto vedere

Avresti dovuto vedere con che erezione mi sono svegliato stamattina, perché era tutta tua: non la colpa, o il merito, dell'erezione così potente e cristallina ma l'erezione stessa. Era nata nel mio cervello quando nel tardo pomeriggio di ieri, tornando sfinito dal lavoro e sprofondando nei sedili della RER parigina, ti avevo scritto che un giorno avrei voluto fare l'amore con te invece di scoparti o fotterti o sfondarti o spaccarti come desideriamo sempre. Tu avevi taciuto e mi era montato in testa il dubbio che potessi essertela presa (chi le capisce mai le donne?) e che potessi essere rimasta scioccata perché il sesso è accettabile ma l'affetto forse no.

Stavo cenando da amici quando mi hai risposto che non resti mai sscioccata da nulla, l'avevo forse dimenticato? No che non l'avevo dimenticato, ricordo sempre quando ti lanciavo in petto il sasso di una proposta sconcia inaccettabile e tu rispondevi col tuo vocino malizioso: "Non istigarmi..." Quando mi ero liberato dagli amici, ormai quasi a mezzanotte, avevo cercato di tradurre in parole l'eccitazione crescente mentre risalivo il boulevard Saint Michel immaginandoti al mio fianco; ti avevo scritto che allora volevo accarezzare il tuo volto e il tuo corpo come se non avessi avuto altro pensiero negli ultimi dieci anni, e poi tutt'a un tratto assoggettarti al mio piacere e godere di te come della più vergognosa ossessione pornografica.

Una volta in albergo ero troppo stanco per restare sveglio. Sono crollato sperando, presagendo, sapendo che al mattino dopo, riacceso il telefonino, l'avrei sentito vibrare della tua risposta. Non potevi restare indifferente, anche se talvolta giochi a fare la capricciosa muta. E infatti - appena sveglio ho visto lo schermo illuminarsi e te che mi dicevi, alle 2:18 della notte, che ti addormentavi con le mie carezze e le mie ossessioni.

Allora ho sentito che, coltivata pazientemente per lunghe ore, la mia erezione per te era finalmente fiorita del tutto. Mi sono levato il pigiama e il cazzo s'è fatto strada dalle mutande, duro, elevato, con la cappella dilatata in un sospiro infinito. Nudo sono arrivato in bagno e mi sono guardato nello specchio. Sembravo uno di quei telamoni erotici che un tempo si mettevano all'ingresso dei bordelli di buon livello e sul cazzo dei quali le damine a pagamento posavano il copricapo o il mantello dei loro clienti per fare le spiritose. Ma nella mia immaginazione tu non eri una damina, non questa volta: eri il telamone donna sistemato in corrispondenza della colonna parallela, ritta all'altro lato del portone d'ingresso con le gambe chiuse ma seno e pelo ben in vista.

Mi sono messo di profilo davanti allo specchio. La protuberanza del cazzo, così, era ancora più oscena: sembrava protendesi alla ricerca (purtroppo vana) delle tue mani, della tua bocca. Ho visto la tua immagine chinarsi mansueta nello specchio e accogliere la mia erezione - la tua erezione - fra le labbra appena socchiuse; ma non mi sono toccato perché oggi ho in programma qualcosa d'altro e non potevo godere già alle nove del mattino.

Volgio portarmi dentro lo sperma che le tue parole hanno fatto ribollire, sentirlo fremere e agitarsi nei miei coglioni - e poi venire, con tormento e liberazione, quando non riuscirò più a contenerlo e ogni goccia sarà per te.

giovedì 17 giugno 2010

Il posto dove lavoro

Il posto dove lavoro in questi giorni a Parigi è un inferno di vetro e acciaio dall'aria malsana e dalla burocrazia frustrante. Mi ha fatto sorridere, dopo ore di sofferenza, solo il tuo imprevisto e inatteso messaggino che mi ha diffuso dentro un po' di sollievo. "Cosa succede nella tua vita?" mi hai chiesto - presumo insospettita dal tono delle mie ultime mail e dei miei ultimi tentativi di contattarti. Allora ho fatto l'unica cosa decente che si possa fare in questo posto, ovvero alzarmi e camminare lungo un infinito corridoio insonorizzato girando quattro angoli fino a tornare alla mia postazione di partenza; e nel lungo itinerario ti ho scritto che lavoro con poca convinzione perché il mio mestiere non mi piace né mi sembra di essere in grado di farlo; che ho troppi impegni accavallati, che mi alzo ogni mattina alle sei, che leggo e scrivo di continuo; che viaggio troppo (e ti ho elencato nel dettaglio i sette passaggi di frontiera che da tre mesi fa a oggi si sono aggiunti al peso di vivere all'estero) e che sto cercando casa per la terza volta in un anno. Ti ho scritto che rimpiango - così, in assoluto, senza complemento oggetto. Poi ho aggiunto che sono un fidanzato irreprensibile in superficie, che non ho tempo materiale per l'adulterio anche se ci penso spesso (o chissà, magari sono invecchiato e non sono più capace), che mi masturbo ormai soltanto per ricordi ancorché vividi ma non più per fantasie o speranze; e infine che riempio questo quaderno, il tuo.
Ora hai risposto al mio enorme messaggino; quando sento il telefonino vibrare in tasca e leggo che sei tu il sollievo diventa più completo, mi congiunge in linea retta il cervello e lo stomaco e il cazzo. Purtroppo sei sfuggente e accade poco spesso, mi piacerebbe averti di più, anche così distante migliaia di chilometri.

mercoledì 16 giugno 2010

Sono a Parigi

Sono a Parigi da meno di due ore e già mi sento addosso un’eccitazione incontrollabile, che non si traduce nella reazione fisica più comune e diffusa ma in uno stato di attenzione mentale mai sopita, come se da qualsiasi angolo potesse spuntare un’occasione sensuale irripetibile. Sarà la fama che questa città s’è costruita nei secoli, sfrenata e libertina; sarà l’improvvisa sensazione di vita brulicante che rinasce appena uno ci mette piede; saranno le frotte di ragazzine in vacanza, dall’America o dall’Olanda, che vanno in giro per il cinquième arrondissement ridendo estasiate e quasi sembra di vedere i prumi succhi che colano dalle loro fichette e si spargono sui marciapiedi in un labirinto di piaceri promessi che cerco d’inseguire e nel quale immancabilmente mi perdo, visto che alla fine non attacco mai discorso con nessuna – ma mi limito a guardarle e desiderarle e sospirare inerte mentre passo al loro fianco.

E’ per questi stessi motivi che ami Parigi anche tu? Vedi i maschi, li senti, li desideri e li insegui – o te ne senti inseguita ovunque, nelle strade più luminose e negli angoli più bui?

Non lo so. Io amo Parigi soprattutto per le negre, che qui prendono un’aria di sovrana irraggiungibilità mentre sembrano crescere di numero (sono tantissime, sono innumerevoli, sono sempre di più), di altezza (sembrano torreggiare sul mio povero ego mentre mi passano accanto, ingiungendomi mute dal loro sommo di non allungare la mano quel tanto, pochissimo, che basterebbe a sfiorarne le carni) e di stazza (sembra che in proporzione guadagnino seni e culi di dimensione inenarrabile; diventano delle Veneri ancestrali che ondeggiano per strada traballando sotto il peso di queste zone erogene che le fanno quasi parodia di una femminilità assassina).

C’è di fronte a me – sono seduto ai tavolini esterni di un caffè all’imbocco del boulevard Saint Michel – c’è di fronte a me una negra sola con due bicchieri d’acqua sul tavolino. Al polso destro porta un bracciale rosa e con la mano si accarezza i capelli quando non controlla i messaggi sul blackberry e scrive qualcosa che non scoprirò mai nell’agendina in pelle. Indossa una giacca estiva sotto la quale porta un vestitino violetto che le arriva a mezza coscia. Le gambe sono accavallate. Ai piedi ha dei calzoni con dei lacci che le salgono fino al polpaccio; il tacco non è molto grande ma fa venire voglia di andare lì a leccarglielo, così, davanti a tutti, sperando che si decida a infilarmi in bocca anche le punte dei piedi che sporgono di mezzo centimetro dall’estremità della suola e che di tanto in tanto agita per sgranchirsele.

Io sono qui che ti scrivo e aspetto che mi guardi (ma lei mi ignora apposta) e so che tra poco l’emozione sarà inarrestabile, dovrò abbandonare il tavolino e tornare in albergo per toccarmi in santa pace pensando a quelle cosce, a quegli alluci, a quel tacco. Quand’ecco che una dietro di lei – una tardona mezza rifatta mezza no – si guarda attorno mentre il suo accompagnatore, di spalle a me, è tutto perso nello schermo della sala; mi vede e mi sorride con le labbra rigonfie sotto il nasino scolpito ad angolo perfetto. Ha smesso di piovere, finalmente; il vento è cambiato e sembra portarmi un intenso odore di donna bagnata.