mercoledì 7 luglio 2010

Quando non ho tempo

Quando non ho tempo prendo un panino al volo e vado a mangiarmelo in una stradina seminascosta, non troppo lontana dal mio ufficio, dove posso stare un po' solo con i miei pensieri, che almeno sono in italiano e non mi stancano troppo.

Oggi stavo mangiando un panino al pollo e curry (questo passa il convento) e mi sono apparse davanti due ragazzine; avranno avuto sedici o diciassette anni. Ti spiego la mia posizione: mi siedo sempre su un muretto poggiando la schiena al tronco di un albero e osservando la strada come un piccolo palcoscenico. Oggi il mio teatro sono state loro due.

Erano bionde entrambe, dai capelli lisci. A una arrivavano a mezza schiena; era più alta e indossava una felpa blu notte con cappuccio. L'altra, più bassa ma di poco, aveva i capelli che le arrivavano alle spalle planando su una maglietta a righe orizzontali grigie e azzurre, con colletto bianco e uno stemma sul davanti che non ho capito.

Ora devo tradurre per forza anche se le parole precise in inglese facevano più effetto. "Eccola che arriva!", fa la più bassa. Arrivava, nella fattispecie, una bionda più bassa di lei e coi capelli un po' più disordinati. "Guarda come sono grosse!", rincara mentre quella più alta se la ride. "Sono così grosse che il laccio del reggiseno sta per saltare!", strilla.

La terza bionda infatti indossa un top rosso che sul retro descrive un arco ampio abbastanza da mostrare il gancio del reggiseno e la striscia che sulla schiena tiene insieme il tutto. Il top è aderente e mostra, sul davanti, gli esatti ricami delle coppe sottostanti. Il seno è grosso, molto grosso. E' uno di quei seni che restano in piedi solo quando si hanno sedici o diciassette anni, e tremola proporzionalmente a ogni passo che la sua proprietaria compie avvicinandosi alle altre due.

Tutte e tre sono consapevoli della mia presenza; mi vedono appoggiato all'albero come io vedo loro sul marciapiede opposto. La bionda tettona oltrepassa le altre due che la seguono verso l'altro sbocco della stradina. Loro continuano a ridere; lei si volta e mi sorride. Sa a cosa penserò quando, appena finito l'orario d'ufficio, correrò a casa per sfogarmi.

martedì 6 luglio 2010

Quando mi capita di andare

Quando mi capita di andare per convegni cerco istintivamente fra gli altri delegati una collega sconosciuta e più carina delle altre da corteggiare per due o tre giorni. Il sesso non è l'obiettivo, o quanto meno non è mai capitato perché notoriamente le intellettuali sono frustrate e inibite, ma almeno l'attività di sguardi e sorrisi e piccoli favori che metto in motomi consente di dare una patina sessuale ai due o tre giorni di noia e disinteresse in cui abitualmente consiste un convegno.

L'uhltima volta miravo a una paffuta e rubiconda bionda irlandese ma prima che potessi fare la prima mossa ero stato scelto da una milanese che, sentendomi parlare nellalingua natia con un compatriota che anche lui lavora all'estero, si era avvicinata chiedendo se eravamo il gruppetto italiano. Io non tollero gli italiani che all'estero puntano solo a fare gruppetto fra loro; però questa delegatamilanese - non troppo alta, capelli biondocastani alla schiena e ben curati, volto un po' ottuso ma seno più che decente, tacchi neri a stiletto - aveva subito ignoratol'altroitaliano e non potevo non sentirmi chiamatoin causa come maschio. Avevo lasciato perdere l'irlandese.

A farla breve, in serata siamo andati a bere qualcosa, io e lei. Io conoscevo già questa piccola città, lei no, e per prima cosa mi aveva chiesto di mostrarle i monumenti fondamentali (tre). Poi, al bancone del locale trendy che avevo sceltoripescando dai più remoti anfratti della mia memoria, le avevo impedito di pagare ma non avevo potuto fare a meno di notare che aveva estratto un portafoglio orrendo, a pezze azzurre e fucsia.

Era emerso che si trattava del regalo fattole dal suo fidanzato dopo quattro anni insieme, quando lei si aspettava un anello. Per buoni dieci minuti si era lamentata del suo uomo, ma per fortuna ormai le mie orecchie in circostanze simili sono abituate a chiudersi automaticamente, sapendo quanto noiose e irragionevoli siano le milanesi di famiglia abbastanza buona da ritenere di avere il mondo in mano - quando al massimo si tratta del loro piccolo mondo privato, farlocco e puzzolente.

Poi aveva accavallato le gambe e mi aveva chiesto della mia vita privata, costringendomi a dirle della Fidanzatga e a scandagliare il mio stato civile nel dettagli che già conosci.

Forse ero rimasto deluso perché non mi aspettavo tanta morbosità sulla stabilità sacra della coppia (ma da una milanese inurbata cosa ci si può aspettare se non pensieri ordinari e presuntuosi?), quindi la mia attenzione nei suoi confronti era repertinamnete calata per questo motivo. Di sicuro era calata perché con l'ipocrisia del discorso dei fidanzati avevo percepito il distacco dai miei veri pensieri.

Se fosse stata una donna sincera, con la quale poter parlare liberamente, avrei potuto dirle invece: "Senti, siamo in terra straniera, gli altri delegati dormono e nessuno ci conosce. Io voglio scoparti almeno quanto lo vuoi tu; ed è chiaro che vogliamo scoparci con indifferenza e disprezzo, nella consapevolezza che siamo il meno peggio che ci è capitato in mezzo a delegati cadenti e intristiti. Ora vorrei che smettessi di lamentarti perché il tuo fidanzato ogni mattina punta la sveglia troppo presto impedendoti di dormire fino alle ottoe vorrei che sbattessi il tuo tacco destro sulla superficie metallica del tavolino allargando le gambe, così seduta come sei, e consentendomi di accovacciarmi fra le tue cosce per scostarti le mutandine e leccarti la fica mentre bevi gli ultimi sorsi del patetico cocktail analcolico che ti ho pagato solo perché speravo di salvare questi giorni conoscendo il tuo corpo. Poi ti riaccompagnerò in camera mentre goccioli sui marciapiedi lamentandoti di ciò che davvero ti preme, ossia che il tuo fidanzato ce l'ha piccolo, o fetente, o che non sa usarlo a dovere. Prima che tu possa finire di elencare i suoi difetti ti mostrerò il mio, di cazzo, e ti tapperò la bocca da cui finora ho sentito uscire solo parole inutili e che finalmente servirà a qualcosa. Poi ti chiederò se hai una versione stampata dell'insulso temino che oggi pomeriggio hai compitato ad alta voce spacciandolo per intervento al convegno, col peggior accento inglese che mi sia mai capitato di sentire; appallottolerò i fogli e te li sistemerò fra le mascelle trasformandoti in un'anatra all'arancia; ti getterò per terra a calci finché non assumerai la corretta posizione a quattro zampe; ti inculerò senza partecipazione né gentilezza spiegandoti che stocercando una donna da presentare alla Fidanzata per coinvolgerla nei nostri giochi ancora immaginari, ma che non sei abbastanza troia da meritare tanto onore; ti verrò dentro appena inizi a piangere, me ne andrò lasciandoti riversa su questo pavimento che ti era sconosciuto fino a stamattina e domani, quando ti rivedrò al convegno, ti ignorerò del tutto".

Invece le buone maniere avevano avuto il sopravvento, le chiacchiere sui fidanzati avevano vinto, c'eravamo lasciati davanti alla mia porta con un bacetto sulla guancia e al mattino dopo, ricominciato il convegno, mi aveva ignorato lei - lasciandomi nel dubbio che volesse scoparmi davvero ma non fosse intelligente abbastanza da farmelo capire.

lunedì 5 luglio 2010

Da ieri sera sono a C***

Da ieri sera sono a C***, città in cui ho trascorso sei mesi in altri e più felici tempi, che ho amato e ricordato in ogni dettaglio, e dalla quale mancavo da sette anni. Sono qui per lavoro ma, appena posso, riescoa sgattaiolarmene e tornare a vedere i luoghi che mi sono rimasti, più di altri, attaccati al cuore. Trovo molto facile orientarmi, camminare senza mappa, ritrovare le impronte che le mie scarpe avevano lasciato e che credevo perdute per sempre prima che il caso mi riportasse qui. Ieri notte, prima di coricarmi, non ho resistito a una passeggiata nel centro deserto. Tutto era lì dove lo avevolasciato, così come l'avevolasciato; ne ho trattola piacevole impressione che gli edifici avessero trascorso gli ultimi sette anni ad aspettarmi.

In una strada laterale ho ritrovato anche un grande e luminoso caffè di cui conservavo un ricordo vago e delocalizzato. Era qui, dunque, che venivo a leggere con la Migliore Amica nei pomeriggi in cui volevamo nasconderci dal noswtro gruppo o dagli altri turisti. E' qui che oggi sono tornato appena ho potuto, con in tasca il libro che sto leggendo, ed è da qui che ti scrivo stavolta. Non per fare il sentimentale, ma sarebbe gradevole che una delle due poltrone vuote attorno a me fosse occupata da te.

Invece sono vuote. S'è appena svuotata anche la poltrona di fronte al mio sguardo, sulla quale era rimasta per due ore a scrivere fittamente in un quaderno rosso a quadretti una signorina dal fascino inquietante. Aveva un'orrenda borsa piumata e i capelli rasati quasi a zero, un viso forse troppo rotondo ma dai lineamenti sereni e regolari che contrastavano con la profondità inquieta degli occhi azzurri.

Io l'ho guardata a lungo, fra una pagina e l'altra, e studiandone i movimenti ho notato che anche lei di tanto in tanto mi lasciava cadere addossoun'occhiata che immediatamente, scoprendosi osservata, dirigeva altrove. Ha mostrato interesse esplicito versodi me soloquando ho posato il mio libro sul tavolino per andare a versarmi un po' d'acqua. Allora ha acuminato lo sguardo per cercare di capire cosa stessi leggendo, sforzandosi di decrittare il titolo sul dorso del libro: La... La vie... La vie sexuelle de Catherine M.

Catherine Millet non è come me l'ero immaginata, non è una Melissa P invecchiata e patetica; sembra, almeno fino al punto in cui sono arrivato, una donna brillante che nutre verso il sesso una curiosità estesa e profonda al contempo. Fa la critica d'arte ed è passata attraverso orge a oltranza, in cui essere in tre era compagnia ed essere in centocinquanta divertimento.

Tutto ciò viene raccontato nel libro, risparmiando dettagli solo quando sono noiosi. Nell'introduzione si spinge a immaginare un mondo dalla sessualità rilassata abbastanza da consentire, dice, lo scambio di riviste di porno fra sconosciuti in treno. Sulla copertina del suo libro, che già ha un titolo piuttosto esplicito, c'è un bianco e nero di nudo femminile che non lascia dubbi sul contenuto erotico. Quando lo leggo in pubblicomi accorgo degli sguardi ora curiosi ora imbarazzati di chi mi circonda; non m'interessa, tanto più che a C*** non mi conosce più nessuno, ma mi sarebbe interessato che la sconosciuta calva mi avesse dedicato uno sguardo differente, che la sua reazione alla scoperta del titolo fosse stata più confacente al mondo descritto nel libro.

Mi piacerebbe un mondo in cui fosse possibile lo scambiarsi non necessariamente riviste porno in treno ma almeno libri erotici al bar; mi sarebbe piaciuto assecondare la curiosità della sconosciuta calva porgendole il libroacciocché leggesse un passaggio a caso e me ne esponesse un giudizio. Mi sarebbe piaciuto dirle di come ho scoperto la letteratura erotica a quattordici anni - un capitolo de Le Undicimila Verghe di Apollinaire inserito in un'antologia estiva allegata a Panorama e letto furtivamente in bagno dopo averla sottratta col fiato corto alla libreria di mio zio, pregando che non se ne accorgesse, non allora, non prima che avessi finito di toccarmi su quelle parole proibite che improvvisamente prendevano forma in carne e inchiostro davanti ai miei occhi increduli di poter leggere "tette", "pompino", "cazzo", "sborra"... Mi sarebbe piaciuto poter continuare a discorrere amabilmente di letteratura libertina dopo essermi abbassato la zip e averlo tirato fuori per mostrarle che il suo sguardo curioso aveva infiammato la mia erezione preparata dall'infinita teoria di orge di Catherine Millet che sorride innocende ed enigmatica, il capo reclinato verso sinistra, in quarta di copertina.

Prima di iniziare a scriverti mi sono coscienziosamente masturbato nel segreto del bagno di questo caffè, pensando a te, alla sconosciuta calva, a Catherine Millet e alla Migliore Amica tutte in attesa del primo schizzo.