mercoledì 20 ottobre 2010

Se la cosa può tranquillizzarti

Se la cosa può tranquillizzarti, ieri io e la Fidanzata abbiamo fatto l’amore normalmente, o meglio serenamente, o meglio ancora coniugalmente. Non sia mai che pensi che preferisco masturbarmi; quella dell’altro giorno è stata un’una tantum. Ieri sono tornato a casa da una cena di lavoro, l’ho trovata ad attendermi con una maglietta bianca sotto la quale si intuivano perfettamente lo scuro dei capezzoli; dopo qualche bacio mi sono liberato di giacca cravatta e pantaloni, le ho sfilato jeans e mutandine, l’ho rovesciata sul letto e le sono salito sopra – le sono entrato dentro – senza che ci togliessimo né la camicia (io) né la maglietta (lei). Era come se gli indumenti di sopra servissero a darci un’identità precisa nel gioco del maritino che torna a casa stanco morto e trova la mogliettina disponibile ad aprire le gambe per tirarlo su. Non abbiamo mai cambiato posizione. Le sono rimasto sopra la consueta ventina di minuti d’ordinanza, volevo che rappresentassimo plasticamente il rapporto sessuale base, un po’ sacro e un po’ animalesco. Ne sono uscito un attimo prima di venirle sullo stomaco con l’aiuto della sua mano (ma con l’altra, non so come abbia fatto, è riuscita a sollevare contemporaneamente la sua maglietta e la mia camicia perché non si sporcassero). Poi, sant’Iddio, meritate coccole.

L’idea dello spreco di sperma come sfregio privato alla Fidanzata, poi, a essere sincero non era manco mia. Me l’ha inconsapevolmente suggerita la mia Ex che qualche giorno fa mi ha confessato di avermi perdonato tutto tranne i tradimenti, anzi tranne un tradimento. Stiamo parlando dei tempi in cui vivevo ancora a P***. Di solito veniva a trovarmi lei perché era più comodo, godevamo di più libertà; ma una volta ci eravamo messi d’accordo che sarei andato io a T*** anche se lei viveva con i suoi. Per me era scomodissimo, dovevo cambiare tre treni e il viaggio durava quattro ore, però volevo accontentarla. Una volta lì, rassegnato a un weekend di castita, ho scoperto che invece lei aveva progettato un piano diabolico: mi aveva portato a passeggiare in un parco e lì, su una panchina, si era chinata a prendermelo in bocca. Io niente, restavo duro e non venivo. Quando la mascella ha iniziato a farle male mi ha chiesto di alzarmi e di calarmi i pantaloni per farmi venire masturbandomi. Io le ho detto che temevo che passasse qualcuno, ma lei ha spiegato di aver passato la settimana precedente a individuare il luogo meno frequentato. Io d’altronde avevo voglia di scaricarmi e non mi sono fatto pregare due volte. Giù i calzoni, giù le mutande, cazzo all’altezza dei suoi occhi mentre lei restava seduta; così è stato più comodo farle avvicinare la bocca (aperta, apertissima, spalancata) quando ho sentito arrivare la sborra. Lei ha ingoiato un attimo prima che alle nostre spalle comparisse un cinquantenne in tuta aderente che correva felpatissimo. Non lo avremmo mai sentito avvicinarsi, e per fortuna avevo appena finito di riabbottonarmi. Ci ha trovati così, io in piedi e lei seduta, ma non ci avrà fatto molto caso, forse.

Qualche mese dopo le ho raccontato che in realtà quel giorno ero già venuto, forse per quello avevo difficoltà a trovare altro sperma per lei. Lei sul momento non mi ha detto niente ma l’altro giorno se n’è uscita con l’idea dello spreco, che a suo dire l’aveva umiliata e le aveva sottratto godimento (oltre a farci rischiare più concretamente di essere scoperti dal felpato cinquantenne). Ma secondo me ciò che l’ha fatta rosicare è stata la maniera in cui ho sprecato sperma prima di vederla.

Dovevo cambiare tre treni e, arrivato all’ultimo, avevo potuto salirci parecchio tempo prima che partisse, visto che nasceva nella stazione del cambio. Avevo attraversato corridoi vuoti finché non avevo trovato uno scompartimento con una signora sola, sulla quarantina scarsa, vestita con un abito leggero in jeans e i piedi scalzi posati sul sedile di fronte. Ero entrato chiedendo permesso e lei aveva scostato i piedi di quel poco che bastava a farmi passare e arrivare all’angolo opposto a quello in cui era seduta lei. Tanto per attaccare discorso le avevo chiesto se sapeva se saremmo partiti in orario – domanda profondissima che mi ha consentito di sentire la sua voce, decrittare l’accento piuttosto forte e notare che aveva uno dei due incisivi spezzato a metà da un taglio diagonale; ma per il resto non era male, le gambe ben tornite, i capelli neri alle spalle, i lineamenti dolci e un po’ ingenui. Non ci eravamo detti molto altro. Lo scompartimento si era riempito all’improvviso e lei era stata costretta a spostare i piedi per liberare il sedile. Dopo la prima stazione aveva preso borsetta e valigia e si era incamminata nel corridoio.

Non c’era bisogno di essere il fratello furbo di Sherlock Holmes per capire che non doveva scendere. Dopo la seconda stazione avevo percorso i corridoi di tutte le carrozze finché non l’avevo intravista, dietro una tendina, impegnata in una telefonata piuttosto agitata in uno scompartimento vuoto. L’avevo lasciata lì senza farmi notare. Ero tornato indietro, avevo recuperato la mia valigia, avevo salutato gli altri viaggiatori e avevo finto di scendere alla terza stazione.

Per giustificare la mia presenza, le avevo detto che era arrivato qualcuno che aveva prenotato il mio posto. A lei non dispiaceva che entrassi e facessimo due chiacchiere. Non le dispiaceva scoprire che avevamo lo stesso nome declinato al maschile e al femminile. Non le dispiaceva nemmeno che le dicessi che aveva dei begli occhi, né che le prendessi la caviglia fra i piedi. Figurati se le dispiaceva venire a sedersi di fianco a me, farsi accarezzare le braccia e il seno, lasciarmi tirare le tendine, essere baciata con la lingua. Non le dispiaceva che me lo tirassi fuori, che lei potesse guardarlo, soppesarlo, accarezzarlo prima con un dito e poi stringerlo nella mano. Non sembrava dispiaciuta nemmeno quando lo sperma le è colato sulle dita. Ha solo detto tre parole, come a constatare il dato di fatto per sincerarsi che fosse realtà vera: “Sulla mia mano”. Le ha scandite come una formula religiosa. Poi mi ha sorriso, è andata in bagno e sono sceso alla stazione di T***.

lunedì 18 ottobre 2010

Ieri sera ho aspettato che la Fidanzata

Ieri sera ho aspettato che la Fidanzata uscisse con gli amici per masturbarmi approfittando di essere solo a casa. Pensavo di essere assalito da sensi di colpa legati al rifiuto implicito nei suoi confronti, pensavo che mi si schiudesse addosso un tifone di dubbi sulla stabilità del nostro rapporto e invece mi sono limitato ad assaporare sentimenti adolescenziali: la gioia dell'essere solo, la trepidazione della porta chiusa, il senso di onnipotenza limitata alle ore che sapevo avrebbe trascorso fuori. E soprattutto, soprattutto, la gioia perversa dello spreco - sapere che un'erezione, del sudore e dello sperma, funzionali al mio piacere, se ne sarebbero andati in un adulterio basico senza che lei lo sapesse mai.

Ho sistemato la poltrona di fronte al portatile. Ho preso un rettangolo di asciugatutto dalla cucina. Mi sono acquattato aprendo l'armadio per disseppellire la scatola dei giochi nella quale ho nascosto tutto il materiale porno, gli aiuti di vario genere e anche le tue mutandine. Ho letteralmente sorteggiato un dvd e, affidandomi alla sorte, anche se la copertina non mi diceva gran che ho predisposto la riproduzione. Ho selezionato la scena che mi attraeva di più nell'anteprima. Mi sono seduto a guardare.

Immagina due donne more, alte, entrambe coi capelli lunghi. Una ha un corpo da modella sfatta, l'altra è stata gonfiata a dovere particolarmente sul seno, che è rigonfio e culmina in due capezzoli di circa dieci centimetri di diametro, appena rosati e completamente uniformi. Delle due preferisco visibilmente quest'ultima, la più artificiale e pornografica; ricordo che si chiama Laura Lion e che al suo corpo fasullo e al suo sguardo vacuo avevo dedicato molti molti pensieri quando avevo iniziato a esplorare il web credendo di ricavarne un piacere infinito come le molteplici possibilità voyeuristiche che mi schiudeva. Tutte e due sono vestite con abiti da puttane, se si possono definire abiti pezzi di stoffa che lasciano completamente libere le zone erogene, se si possono definire abiti delle difese che cadono dopo pochissimi secondi di proiezione quando l'altra si accovaccia a mettersi in posa sorridente di fianco alla fica di Laura, dritta e composta, un righino di pelo nero curato con attenzione millesimale.

Non fa a tempo Laura a chinarsi lei per ricambiare e leccare, che vengono raggiunte da un uomo già pronto - nudo, statuario, in erezione. Lo mette subito in bocca a Laura che era giù, mentre bacia l'altra rimasta in piedi; poi se le scopa una via l'altra. Nella fica da sopra. Nella fica da sotto. Nella fica da dietro. Nella fica dell'una. Nella fica dell'altra. In una delle due fiche mentre la restante si accomoda a cosce larghe su un divanetto e lui la aiuta a masturbarsi ficcandole dentro tre dita forsennate che la scavano come se fossero il secondo cazzo che lui ha sempre desiderato. Nella fica di Laura si vede che gli piace di più: la fa sedere su di sé mentre è sdraiato sul pavimento e se la scopa di schiena guidandola coi palmi delle mani sul culo mentre l'altra, l'anonima, la sparring partner dal volto anonimo si industria a leccarle le tette ma non ci riesce, sono troppo grandi e ballonzolanti ed è costretta a smettere di inseguirle a bocca aperta per posarci sopra le due mani, per posare entrambe le mani su una tetta sola, enorme e perfetta. Dopo questa cavalcata lui non ne può più. Sborra in bocca a Laura - sborra poco, sborra meno di quanto io sborri in quello stesso istante (se guardo un porno riesco a venire a comando, di solito, sincronizzandomi all'eiaculazione sullo schermo, ma non ti prometto niente) nell'asciugatutto che ho accartocciato attorno alla sommità del cazzo per evitare di macchiare la moquette, altrimenti chi la sente poi la Fidanzata?

L'attore nudo dall'inizio alla fine se lo stringe in mano quasi con sofferenza, quasi gli dispiacesse separarsi dal proprio seme, o quasi temesse che tanto il godimento il cazzo gli decollasse come un missile. A malapena si distinguono le gocce che spara nella bocca aperta di Laura ma lei, che le rimesta con la saliva, si volta e lascia cadere due, tre lenti fiotti bianchi nella bocca spalancata che l'altra, la povera attrice di cui mi spiace non sapere il nome, le offre sistemandosi sotto di lei, in traiettoria. E poi vado a lavarmelo.