giovedì 17 giugno 2010

Il posto dove lavoro

Il posto dove lavoro in questi giorni a Parigi è un inferno di vetro e acciaio dall'aria malsana e dalla burocrazia frustrante. Mi ha fatto sorridere, dopo ore di sofferenza, solo il tuo imprevisto e inatteso messaggino che mi ha diffuso dentro un po' di sollievo. "Cosa succede nella tua vita?" mi hai chiesto - presumo insospettita dal tono delle mie ultime mail e dei miei ultimi tentativi di contattarti. Allora ho fatto l'unica cosa decente che si possa fare in questo posto, ovvero alzarmi e camminare lungo un infinito corridoio insonorizzato girando quattro angoli fino a tornare alla mia postazione di partenza; e nel lungo itinerario ti ho scritto che lavoro con poca convinzione perché il mio mestiere non mi piace né mi sembra di essere in grado di farlo; che ho troppi impegni accavallati, che mi alzo ogni mattina alle sei, che leggo e scrivo di continuo; che viaggio troppo (e ti ho elencato nel dettaglio i sette passaggi di frontiera che da tre mesi fa a oggi si sono aggiunti al peso di vivere all'estero) e che sto cercando casa per la terza volta in un anno. Ti ho scritto che rimpiango - così, in assoluto, senza complemento oggetto. Poi ho aggiunto che sono un fidanzato irreprensibile in superficie, che non ho tempo materiale per l'adulterio anche se ci penso spesso (o chissà, magari sono invecchiato e non sono più capace), che mi masturbo ormai soltanto per ricordi ancorché vividi ma non più per fantasie o speranze; e infine che riempio questo quaderno, il tuo.
Ora hai risposto al mio enorme messaggino; quando sento il telefonino vibrare in tasca e leggo che sei tu il sollievo diventa più completo, mi congiunge in linea retta il cervello e lo stomaco e il cazzo. Purtroppo sei sfuggente e accade poco spesso, mi piacerebbe averti di più, anche così distante migliaia di chilometri.

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