domenica 20 giugno 2010

Avresti dovuto vedere

Avresti dovuto vedere con che erezione mi sono svegliato stamattina, perché era tutta tua: non la colpa, o il merito, dell'erezione così potente e cristallina ma l'erezione stessa. Era nata nel mio cervello quando nel tardo pomeriggio di ieri, tornando sfinito dal lavoro e sprofondando nei sedili della RER parigina, ti avevo scritto che un giorno avrei voluto fare l'amore con te invece di scoparti o fotterti o sfondarti o spaccarti come desideriamo sempre. Tu avevi taciuto e mi era montato in testa il dubbio che potessi essertela presa (chi le capisce mai le donne?) e che potessi essere rimasta scioccata perché il sesso è accettabile ma l'affetto forse no.

Stavo cenando da amici quando mi hai risposto che non resti mai sscioccata da nulla, l'avevo forse dimenticato? No che non l'avevo dimenticato, ricordo sempre quando ti lanciavo in petto il sasso di una proposta sconcia inaccettabile e tu rispondevi col tuo vocino malizioso: "Non istigarmi..." Quando mi ero liberato dagli amici, ormai quasi a mezzanotte, avevo cercato di tradurre in parole l'eccitazione crescente mentre risalivo il boulevard Saint Michel immaginandoti al mio fianco; ti avevo scritto che allora volevo accarezzare il tuo volto e il tuo corpo come se non avessi avuto altro pensiero negli ultimi dieci anni, e poi tutt'a un tratto assoggettarti al mio piacere e godere di te come della più vergognosa ossessione pornografica.

Una volta in albergo ero troppo stanco per restare sveglio. Sono crollato sperando, presagendo, sapendo che al mattino dopo, riacceso il telefonino, l'avrei sentito vibrare della tua risposta. Non potevi restare indifferente, anche se talvolta giochi a fare la capricciosa muta. E infatti - appena sveglio ho visto lo schermo illuminarsi e te che mi dicevi, alle 2:18 della notte, che ti addormentavi con le mie carezze e le mie ossessioni.

Allora ho sentito che, coltivata pazientemente per lunghe ore, la mia erezione per te era finalmente fiorita del tutto. Mi sono levato il pigiama e il cazzo s'è fatto strada dalle mutande, duro, elevato, con la cappella dilatata in un sospiro infinito. Nudo sono arrivato in bagno e mi sono guardato nello specchio. Sembravo uno di quei telamoni erotici che un tempo si mettevano all'ingresso dei bordelli di buon livello e sul cazzo dei quali le damine a pagamento posavano il copricapo o il mantello dei loro clienti per fare le spiritose. Ma nella mia immaginazione tu non eri una damina, non questa volta: eri il telamone donna sistemato in corrispondenza della colonna parallela, ritta all'altro lato del portone d'ingresso con le gambe chiuse ma seno e pelo ben in vista.

Mi sono messo di profilo davanti allo specchio. La protuberanza del cazzo, così, era ancora più oscena: sembrava protendesi alla ricerca (purtroppo vana) delle tue mani, della tua bocca. Ho visto la tua immagine chinarsi mansueta nello specchio e accogliere la mia erezione - la tua erezione - fra le labbra appena socchiuse; ma non mi sono toccato perché oggi ho in programma qualcosa d'altro e non potevo godere già alle nove del mattino.

Volgio portarmi dentro lo sperma che le tue parole hanno fatto ribollire, sentirlo fremere e agitarsi nei miei coglioni - e poi venire, con tormento e liberazione, quando non riuscirò più a contenerlo e ogni goccia sarà per te.

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