lunedì 21 giugno 2010

Ma, come ti ho già detto

Ma, come ti ho già detto, la mia intenzione per la giornata appena aperta era di fare tutt'altro. Nel primo pomeriggio, quando l'aria si era ormai riscaldata del tutto e il sole sempre più insistente scopriva le ragazze che brulicavano lungo la Senna, sono andato all'imbocco di Boulevard Saint Michel per prendere un café noisette. Costa tantissimo, sedersi ai tavolini esterni ammirando da un lato la fontana monumentale con l'Arcangelo e il demonio e dall'altro le torri squadrate di Notre Dame; ma ne vale la pena perché si riesce sempre a imbattersi in qualche donna sola.

Mi ero sistemato poco dietro una giovane bionda, di tre quarti rispetto a lei, in maniera tale da non perderla mai d'occhio mentre fingevo di scrutare il brulicame e godermi il venticello tiepido. I capelli lisci e fini le scendevano fino a mezza schiena ed erano di un chiarore scandinavo che, acceso dal sole, tendeva quasi al bianco. La vita minuta era fasciata da un abitino leopardato che sui suoi movimenti aggraziatinon sembrava volgare, tanto più che il disegno era a macchie piccole e discrete; dall'apertura inferiore sbucavano gambe calzate da collant scuri, con un lieve ma costante arabesco nero che correva lungo tutta laa loro lunga superficie. Probabilmente delle autoreggenti, ma la giovane bionda era cautissima a non mostrare la giarrettiera nemmeno quando le allungava sotto il tavolino; nemmeno quando, facendomi balzare il cuore in gola, si era data all'inseguimento di un menù fatto volare via dal vento levandosi in piedi e mostrandomi tutt'a un tratto un corpo perfetto.

Come molte persone sole leggeva. Aveva comprato da una bancarella dell'usato il Britannico di Racine, che visto lo stato in cui era ridotto non doveva esserle costato più di una cinquantina di centesimi; sicuramente non era francese e mi faceva tenerezza la maniera in cui si affannava su ogni verso e misurava gli endecasillabi sulla punta delle dita, compitandoli a labbra mute.

Leggevo anch'io, con l'occhio che non la guardava, le prime pagine dell'Histoire d'O che avevo comprato in un precedente viaggio a Parigi e non avevo mai avuto tempo di iniziare. Cercavo di nascondere, tenendolo posato sul tavolino, il titolo del libro; ma al contempo desideravo che lei si voltasse per un attimo e scorgesse in copertina questo corpo di donna, esposto dal collo al ginocchio, coperto da un abitino di seta davanti al quale si giungevano le mani costrette da due manette ai polsi. Leggevo il celebre doppio incipit della storia di O condotta al castello di Roissy, dove intuisce che incontrerà i suoi padroni ma senza capirlo appieno, seduta di fianco al proprio innamorato che l'ha spinta a togliersi le mutandine e a posare sul cuoio del sedile posteriore di un taxi il culo e le cosce nude. Vedevo il vestitino leopardato della giovane bionda - ancora lì intenta a sorbire un'orangina e a controllare gli endecasillabi di Corneille - sollevarsi mentre entrava in un'auto e rivelarne la fica che di lì a poco si sarebbe sciolta sul sedile al pensiero della propria forzata remissività; e riga dopo riga, pagina dopo pagina, O aveva sempre più i suoi capelli biondi e il suo musetto volpino.

Al passaggio del cameriere gli faccio un segno e, Monsieur, gli dico, pago il mio café noisette e (indicandola) l'orangina di mademoiselle. Il cameriere arriccia il nasoe mi chiede se elle il sait; non lo sa, gli spiego, ma ciò nondimeno vorrei pagarla io. Lui allora fa ciò che mai un cameriere dovrebbe fare: va dalla giovane bionda a controllare lo scontrino, infilato sotto un posacenere per impedire che voli via, e le fa segno della mia profferta. La giovane bionda si volta verso di me e finalmente posso guardarla con attenzione, interpretarne la bellezza. Ha il mento aguzzo e lineamenti da carboncino, un taglio di occhi severissimo. Mi passa da parte a parte con il suo sugardo azzurro e protesta, Mais non, lei non si farà pagare. Le gambe si accavallano nervosamente, una preclara visione dell'arabesco nero sulle sue cosce mi balena sotto il naso. Cerco di insistere spiegandole che non ho secondi fini, che vorrebbe essere un omaggio alla sua bellezza altera e agli endecasillabi di Corneille sparsi sui suoi polpastrelli; ma lei non vuole sentir ragione e il mio francese non è così convincente.

Estrae il portafoglio e paga l'orangina di tasca sua, mentre sulle pagine del mio libro O perde poco a poco le sue fattezze volpine per riacquistare quelle che il narratore le aveva conferito; gli endecasillabi di Corneille tornano a scorrere sulle dita della giovane bionda, che avevo creduto schiava e invece era padrona, mentre penso che la vittoria in guerra passa anche da tante battaglie perdute con classe.

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Ho controllato meglio, il Britannico è di Racine.

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